Nell’immaginario collettivo questo è il ponte attraversato da Giulio Cesare nel 49 a.C. e il luogo in cui pronunciò la celebre frase: «Alea iacta est», il dado è tratto. Le fonti storiche e la tecnica costruttiva del monumento però smentiscono la sua datazione all’età cesariana, infatti nel famoso passo di Svetonio [Cesare 1. 31], l’autore parla di un ponticulum, che non può corrispondere alla struttura savignanese, mentre il termine ben si adatta ai ponti di legno di epoca repubblicana, successivamente monumentalizzati con l’uso della pietra a partire dall’età augustea, come hanno confermato anche recenti sondaggi realizzati in occasione dell’ultimo restauro.
Il monumento, costruito in opus quadratum con blocchi di pietra bianca d’Aurisina di diverse dimensioni, è lungo metri 26.20 e largo 6,30: si articola in tre arcate innestate su due piloni, che poggiano sulla platea di fondazione, larga 4 metri e lunga quanto lestensione del ponte, formata da lastroni connessi con grappe di pietra bianca e rosa. Questa platea fu documentata nel 1937 con i sondaggi voluti dal Soprintendente Aurigemma, in occasione della realizzazione di un plastico (scala 1:20) riproducente la tecnica di costruzione del ponte, da esporsi quello stesso anno alla Mostra Augustea della Romanità organizzata a Roma per il bimillenario della nascita di Augusto. Oggi purtroppo di questo prezioso plastico si sono perse le tracce, dopo che, come riferito recentemente dal direttore del Musei Capitolini in una lettera all’Amministrazione di Savignano (9/11/2011): “in un momento imprecisato tra il 1955 e gli anni ‘70 del secolo passato il plastico, avendo subito un cedimento strutturale, venne tolto dalla sala [VIII n. 16], sostituito con un’altra opera e ricoverato in deposito”.
Il ponte che vediamo attualmente è il frutto di secolari rimaneggiamenti e restauri, l’ultimo dei quali terminato nel 2005. La prima e più importante modifica avvenne già nella seconda metà del XIV secolo, quando Savignano fu fortificata con la costruzione del castello: la porta occidentale poggia va infatti sul ponte, così come le mura e fu deviato anche il corso del fiume, evento che provocò una parziale distruzione dell’opera, imponendo que sto primo restauro. Nel 1445, secondo la tradizione, Sigismondo Malatesta portò a Rimini le pietre dei parapetti per realizzare il Tempio Malatestiano. Nel 163l,nell’ambito di un significativo intervento di restauro, i piloni e i rostri frangifiutti vennero ricoperti in laterizio per proteggerli dalla corrente e furono interamente ricostruiti i parapetti in laterizio. Solo nel 1885 terminarono le trasformazioni dell’opera con l’asportazione delle superfetazioni medievali e della porta urbica, ad eccezione dei rinforzi ai piloni e dei parapetti in muratura, ancora chiaramente visibili nel plastico del 1937.
Nella notte tra il 28 e il 29 settembre 1944 il ponte fu quasi totalmente di strutto dalle mine dei tedeschi in ritirata, che lasciarono intatte solo le spalle e le fondamenta dei piloni. Gli alleati americani costruirono poi un ponte Bailey in ferro impostato sui resti antichi. Si doveva trattare di un’opera provvisoria, invece rimase per ben 20 anni, finché tra il 1959 e il 1965 venne ricostruito il ponte di epoca romana, dopo aver recuperato dal greto del fiume e dai luoghi circostanti tutti i conci rimasti (l’8O% di quelli originali), averli catalogati accuratamente, numerati e quindi riposizionati secondo le modalità antiche, in base ad una tecnica di restauro detta anastilosi, con la quale si rimettono insieme, elemento per elemento, i pezzi originali di una costruzione andata interamente distrutta.
(Cristina Ravara Montebelli - da "Guida alla mostra documentaria Alea Iacta Est. GIulio Cesare a Savignano sul Rubicone")
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