Ai molti viaggiatori che giungevano in Italia tra il XVI e il XVIII secolo per cercare i luoghi celebri della classicità sugli itinerari del Grand Tour, si offriva l’imperdibile emozione di ripercorrere le tracce di Giulio Cesare e, come lui, passare il Rubicone.
Dato che il fiume era “venerabile solo per il rispetto di cui l’hanno circondato”, come scrisse Montesquieu alludendo alle sue modeste dimensioni, poteva anche succedere di attraversarlo senza rendersene conto. In questo caso, una seconda possibilità di ricordare il grande evento si presentava poche miglia più avanti, a Rimini: «Sulla Piazza del Mercato c’è un piedistallo che la sorte ha onorato più che se avesse portato su di sé la statua dello Zeus di Olimpia scolpita da Fidia, perché quando Giulio Cesare, sfidando il senato, ebbe passato il Rubicone, salì su questa pietra, arringò le sue truppe e le condus se verso Roma. Che sia la pietra autentica è attestato da un’antica iscrizione, una prova che non considero indiscutibile ma alla quale credetti di buon grado, almeno fintanto che rimasi davanti alla pietra, immaginando il grande uomo in piedi su di essa» (Augustus von Kotzebue).
Per i più colti, era l’occasione buona per mostrare la propria erudizione ed intervenire nel dibattito su quale fosse il vero Rubicone, o di pronunciarsi sull’autenticità del suggestuni. e c’era chi si soffermava a riflettere sui significati simbolici dell’atto di Cesare: il condottiero romano era sì l’eroe ammirato per il coraggio e l’abilità militare, ma anche il despota che aveva ceduto all’ambizione e posto fine alla Repubblica. La sua conquista del potere non era meno densa di significati della sua morte: era lecito giustiziare un tiranno?
La vicenda di Cesare e dei suoi uccisori diventava lo specchio delle guerre civili che, nelle diverse epoche, avevano dilaniato ora l’uno ora l’altro stato europeo, e non prometteva un epilogo felice: forse non è un caso che Stendhal, entusiasta sostenitore di Napoleone, eviti di parlarne del tutto.
Le gesta eroiche di Cesare e le virtù repubblicane incarnate da Bruto mettevano ancor più in rilievo il mal governo dell’italia contemporanea, e sembrava quasi un’ironia che poco lontano si stagliasse la sagoma della piccola Repubblica di San Marino, «come se le ultime deboli vestigia della libertà dovessero sussistere a fianco dei luoghi dove era stata distrutta la repubblica del mondo» (M.me de Stal).
(Fabio Pesaresi - da "Guida alla mostra documentaria Alea Iacta Est. GIulio Cesare a Savignano sul Rubicone")
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